Fp Cgil Veneto: Si apra il confronto sui progetti sanitari del Nextgeneration – Eu

Fp Cgil Veneto: Si apra il confronto sui progetti sanitari del Nextgeneration – Eu

Correre per presentare i progetti e non perdere le risorse del Nextgeneration-Eu: questo l’imperativo che ha spinto la Regione ad accelerare il processo che porterà la Quinta commissione (la commissione Sanità) a esprimere il proprio parere nelle prossime giornate.  

Nei giorni scorsi – dichiara Ivan Bernini, segretario generale Fp Cgil Veneto – abbiamo indicato approssimativamente i numeri delle strutture che dovranno essere attivate sulla base del PNRR: 99 case di comunità e ulteriori 30 ospedali di comunità. La nostra previsione si è rivelata molto vicina alla realtà. 

Partiamo dagli ospedali di comunità: stando alle indicazioni delle linee guida dell’Agenas, non ancora definitive per quanto ci consta, è previsto un ospedale di comunità ogni 50.000 abitanti, dotato di 20 posti letto. Nel Veneto, quindi, dovrebbero essere attivati complessivamente, entro il 2026, 98 ODC per un totale di 1.963 posti letto. Rispetto a quanto dichiarato dalla Regione, dovranno essere attivate ulteriori 30 strutture per raggiungere gli obiettivi indicati.   

In base agli standard di personale necessario (sempre in base alle linee guida Ageneas) per i nuovi ODC serviranno almeno 30 medici, 270 infermieri e 180 operatori sociosanitari, tutti da assumere.  

Contando tutte e 98 le strutture, in totale (tra attuali e nuovi assunti) dovremo avere: 98 medici, 882 infermieri e 598 operatori sociosanitari.  

La Commissione dovrà esprimersi anche rispetto ad un altro aspetto: considerando che 24 ospedali di comunità su 30 saranno attivati all’interno delle attuali strutture ospedaliere, i 480 posti letto saranno aggiuntivi rispetto ai posti letto ospedalieri o saranno sottratti da quelli attuali, già insufficienti? 

Case della Comunità: anche qui il rapporto è almeno 1 ogni 50.000 abitanti e la Regione prevede l’attivazione di 99 strutture. Gli standard per il personale prevedono per ogni CDC almeno 5 amministrativi, 10 medici di medicina generale (inclusa la presenza dei pediatri) e 8 infermieri. Quindi serviranno 495 amministrativi, 990 medici e 792 infermieri.  

Fatti due conti, senza includere per il momento le prossime tappe – assistenza domiciliare, Cot, Distretti e definizione chiara sull’infermiere di famiglia – e senza considerare ospedali e strutture residenziali per anziani e disabili, servono 1.020 medici, 1.062 infermieri, 180 operatori sociosanitari e 495 amministrativi“.   

Val la pena di evidenziare – aggiunge Berinini – che l’altra priorità, rappresentata dall’assessore Lanzarin, sarà quella di recuperare le prestazioni non erogate “causa covid” e di riprendere l’attività ordinaria nelle strutture residenziali. Ma, tanto negli ospedali pubblici che nelle strutture residenziali, mancano medici, infermieri e operatori sociosanitari. E in questi anni, molti dipendenti delle strutture pubbliche sono passati a quelle private, dove vengono pagati di più, con meno carichi di lavoro e meno complessità da gestire, perché la Sanità privata mantiene solo i servizi meno costosi e più remunerativi. In tanti si propongono anche come liberi professionisti, visto che – secondo le logiche del libero mercato – hanno molta forza contrattuale, essendo la domanda superiore all’offerta“.  

E’ una partita – precisa il sindacalista – molto difficile da affrontare e sulla quale, negli ultimi due anni, non c’è stato alcun confronto con le parti sociali, con i sindaci e con i protagonisti del sistema salute. Certo, l’emergenza ha richiesto uno sforzo quotidiano senza precedenti ed ognuno ha fatto quello che riusciva con le risorse a disposizione, ma senza riaprire il dialogo è complicato costruire una prospettiva“.

Pensiamo – conclude Ivan Bernini – che non solo sia necessario riscrivere la programmazione sociosanitaria anche in relazione ai progetti del Nextgeneration-Eu, ma serva fin da subito un confronto a tutto campo sulla riforma delle strutture residenziali, sugli accessi alla formazione, e sulle risorse aggiuntive che la Regione deve investire, se si vuole frenare la fuga del personale verso il privato e rendere attrattivo il patrimonio di salute pubblica che ancora abbiamo in questo territorio“.  

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