Il caso della signora di Treviso cui l’azienda ha intimato di pagare un sostituto per il periodo di gravidanza non è purtroppo un’anomalia insensata in una cultura dove tende a farsi strada un’idea di svalutazione del lavoro. Mentre i licenziamenti sono stati resi più facili, vediamo aumentare le dimissioni che non hanno nulla di volontario ma sono indotte dalle aziende per liberarsi di lavoratori senza nemmeno dover passare per il terreno, comunque più costoso, del licenziamento.
In un mercato del lavoro reso più labile dalle tante forme di precarietà e da una maggiore ricattabilità si assiste, insomma, ad un fenomeno nuovo che vede lavoratori giovani diventare particolarmente deboli nei rapporti con l’impresa. Bassi salari, discontinuità nei rapporti di lavoro, mancata crescita professionale e mancati percorsi di carriera caratterizzano oggi una quota sempre più consistente di giovani con un effetto depressivo sull’intera società.
Bisogna porre un argine a questa deriva e per questo è importante la presentazione da parte della Cgil della proposta di legge di iniziativa popolare (“Carta dei Diritti Universali del Lavoro”) e dei due referendum sugli appalti e sull’abolizione dei voucher con l’idea di rafforzare il lavoro, a partire dall’affermazione di alcuni diritti per tutti: dipendenti, parasubordinati, veri o finti autonomi.
La questione dei voucher è centrale perché riguarda una modalità di totale destrutturazione del lavoro portando alle estreme conseguenze la negazione del suo valore sociale. Per questo se ne chiede la cancellazione ed è un passo importante il Decreto del Governo che ne dispone l’abrogazione e che ora va convertito in legge.
Lascia stupefatti il gran rumore fatto attorno ad esso da alcune categorie economiche mentre i loro associati hanno preso d’assalto i tabaccai per comprare voucher a suon di diverse migliaia di euro, a dimostrazione che non ne fanno poi un uso così tanto marginale come dicono.
Occorre chiarezza, a partire dalla distinzione tra il lavoro occasionale (per il quale si tratta di riformulare una normativa) e la sostituzione di lavoro vero e proprio con i voucher. L’enorme espansione di questa modalità, l’utilizzo elevato soprattutto nei settori del commercio e del turismo molto al di là dei picchi di stagione (basti guardare gli annunci di offerte di lavoro) ne evidenziano un carattere che era divenuto ormai strutturale al mercato del lavoro.
Per non parlare dell’utilizzo distorto che se ne è fatto a copertura di forme di lavoro nero (il voucher utilizzato solo per una quota della prestazione o pronto per essere esibito ad un’ispezione), come sottolineato in una recente audizione alla Camera dal Presidente dell’Inps, Boeri.
I dati sono significativi: dal 2008 al 2014 (anni di crescita esponenziale dei voucher) in Veneto gli occupati irregolari sono saliti dall’8,1% all’ 8,8% ed in Italia dal 12,2% al 13,3%. Non ci si venga dunque a dire che l’abolizione dei voucher farà aumentare il lavoro nero che, in ogni caso, è e resta un reato che va punito e non certo agevolato con la messa a disposizione di strumenti ad hoc.
In Veneto il lavoro pagato con i voucher è arrivato ad interessare 170.000 lavoratori in un anno, pari all’11,5% dei dipendenti. La metà sono persone con situazioni di forte sofferenza lavorativa, gente impiegata negli stessi settori e mansioni dove operano lavoratori contrattualizzati ma per cui il salario è più basso e non ci sono diritti.
Ad un’impresa un voucherista costa meno di un lavoratore somministrato, di uno intermittente o di un lavoratore a termine (tutte modalità cui attualmente possono benissimo ricorrere aziende che abbiano bisogni momentanei di manodopera) e non ha ferie, tredicesima, tfr, maternità e nemmeno ammortizzatori sociali.
Sia negli alberghi (per la stagione balneare), che in agricoltura (per le campagne di raccolta) chi viene assunto come prestatore a voucher anziché come stagionale perde il sussidio di disoccupazione e la relativa contribuzione figurativa per il periodo di non lavoro. Gli effetti sulla pensione non sono da poco. Un voucherista che percepisca il massimo finora consentito (9.333 euro lordi) a 70 anni avrà una pensione di 208 euro mensili mentre, a parità di retribuzione, uno stagionale avrà 5 volte tanto se occupato in agricoltura e 3 volte tanto se in hotel, bar e negozi.
Perché dunque dovrebbe esistere una tipologia lavorativa così degradante? È giusto cancellarla.
Quanto al lavoro occasionale, quello vero che riguarda le attività delle famiglie o la gestione di piccoli eventi, va normato con nuovi strumenti che però non possono prescindere dal principio che si tratta di un rapporto di lavoro e non di una merce qualsiasi. La Cgil ha presentato una proposta e su questa base va aperto il confronto.