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Femminicidi: uniamo al dolore e allo sgomento le scelte necessarie per fermare la strage

Due femminicidi in Veneto in pochi giorni, già ottanta a livello nazionale dall’inizio dell’anno, il 10% dei quali nella nostra Regione. Impressiona ancor di più il rapporto tra femminicidi e il totale degli omicidi: oltre 80 su 200, poco meno della metà. L’altro dato sconfortante è che si tratta di numeri costanti, che non si riducono da tempo, rendendo chiara l’assenza di qualunque miglioramento nella capacità della nostra società di tutelare le donne.

Nonostante il dolore e lo sgomento che l’uccisione di Rita e Alessandra ci provocano, serve mantenere uno sguardo lucido e razionale. Accanto ai sentimenti, dobbiamo conservare la capacità di analisi rispetto a questo terribile fenomeno e di proporre una strada per fermare una violenza così diffusa ed efferata.

Intanto è necessaria una riflessione profonda su che idea della donna si coltiva nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nel sistema economico, nel contesto sociale. C’è evidentemente una concezione ancora proprietaria che non ci riconosce libertà, autonomia, soggettività. Ed è una concezione trasversale alle generazioni, ai ceti, perfino al grado di istruzione delle persone. Una realtà che si percepisce anche da aspetti che possono sembrare marginali, e che invece sono rivelatori. Per esempio quando, al di là del livello giudiziario dove non si può fare altrimenti, si va – nel dibattito pubblico – alla ricerca del movente, come se ci potessero esserci ragioni che spiegano, o addirittura giustificano, la scelta di privare una donna della vita. Da qui alla colpevolizzazione, esplicita o sottintesa, della vittima il passo rischia di essere breve.

È sufficiente questa constatazione per comprendere quanto impegno c’è da mettere in campo, innanzitutto sul piano culturale. E non si può che partire dalla scuola, per arrivare a tutto il resto della società. E’ un’opera pedagogica che non può che essere continua, capillare, efficace.

C’è poi la rete di prevenzione e di protezione, senza la quale nessuna legge e nessuna entità della pena eviteranno ulteriori tragedie. Siamo al punto che ci tocca festeggiare quando i fondi pubblici destinati a questo scopo non vengono tagliati da un anno all’altro (spesso infatti succede il contrario). Ma se la situazione è straordinaria, se siamo di fronte a una strage inaccettabile, la reazione delle Istituzioni non può che essere proporzionata, anche nell’entità delle risorse destinate ai centri anti violenza e a tutto il resto che serve. O una donna sa a chi rivolgersi, ha un luogo sicuro in cui rifugiarsi a portata di mano, ha qualcuno che la accompagni nella consapevolezza dei pericoli che corre e nelle scelte da compiere, oppure sarà sempre troppo tardi quando proveremo a salvarla. Anche la Regione Veneto e le Amministrazioni locali sono chiamare a una svolta sotto questo punto di vista.

Infine, ma non per ordine di importanza, i diritti civili alla libertà e all’autodeterminazione vanno legati ai diritti sociali, perché senza l’indipendenza economica, senza un lavoro dignitoso e riconosciuto, il campo delle scelte possibili per chi si sente minacciata nella sua incolumità inevitabilmente si restringe. E’ questo un tema attualissimo anche in Veneto, se consideriamo che una lavoratrice under 35 vive in media con 13.000 euro lordi all’anno, e tantissime donne un’occupazione neppure ce l’hanno, essendo lontanissimi dai tassi di lavoro femminile europei.

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