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PART TIME IN AVANZATA, ORMAI RIGUARDA UN LAVORATORE SU CINQUE

In Veneto un lavoratore su 5 ha un lavoro a part time. Una modalità in gran parte dei casi non scelta, che dà origine a basse retribuzioni e segregazione professionale, inibendo le opportunità di carriera e sviluppo dei percorsi lavorativi, e che spesso si accompagna a mansioni molto al di sotto delle competenze possedute.
Limitato 12 anni fa a poco meno del 13% dei dipendenti, il part time ha conosciuto un boom durante tutti gli anni della crisi e continua il suo percorso in ascesa, con le assunzioni a tempo parziale arrivate a toccare, nel 2017, il 36,5% dei nuovi rapporti di lavoro attivati. L’aumento della loro incidenza è di 2,8 punti sul 2016 e di 4,4 punti sul 2015 e fa seguito ad un andamento costantemente crescente dal 2009 in poi, in contemporanea con una decrescita delle assunzioni a full time.

L’Istat rileva nel 2016 (ultimo dato disponibile) in Veneto 384.900 lavoratori a part time. Di questi, 315.400 sono dipendenti. Il loro numero supera del 65,6% i valori del 2004 (190.500 dipendenti a part time) e del 23,5% quelli del 2010 (255.400 lavoratori), a conferma del fatto che l’incremento del part time non è solo un dato di flusso, ma che questa modalità si è ben assestata in regione divenendo un elemento strutturale del mercato del lavoro che via via erode lo spazio occupato dai rapporti a tempo pieno, in particolare nei contratti a tempo indeterminato.

Più esteso tra le donne e tra i giovani, il part time è sempre più una forma imposta. Nel 2016 la quota di part time involontario è pari al 64,7% tra i maschi part-timer e del 48,4% tra le donne. Tra i dipendenti i valori sono ancora più alti: 74,4% tra i maschi; 49,3% tra le femmine. Sono tassi più che doppi rispetto a quelli riscontrabili nel 2004 (maschi 29,2%; femmine 19,3%).
Se non c’è dubbio che l’estensione del part time abbia seguito i processi di terziarizzazione dell’economia regionale, va tuttavia evidenziata una sua presenza tutt’altro che marginale in alcuni settori industriali quali il made in Italy, l’alimentare ed il tessile con un’incidenza sulle assunzioni che va dal 25% al 22% tra gli uomini e dal 27% al 35% tra le donne.
La parte del leone spetta comunque al commercio ed al turismo dove si toccano valori del 51% e del 39% tra gli uomini e del 70% e 53% tra le donne.

Le retribuzioni sono basse, tali da non consentire di mantenersi in autonomia e nemmeno di costruire una pensione dignitosa, tanto che chi può (restrizioni del mercato del lavoro permettendo) assomma alla prima una seconda occupazione a part time, magari atipica o finta autonoma, con tutto quello che comporta (in termini di orari, di relazioni e di stress) il doversi giostrare tra due diversi impieghi.
In media un lavoratore veneto a part time percepisce 11.348 euro lordi all’anno (875 al mese), che salgono a 12.756 (981 mensili) se il rapporto di lavoro è a tempo indeterminato. La retribuzione si abbassa ulteriormente tra i giovani (fino a 34 anni) che guadagnano in media 8.945 euro all’anno (688 al mese), aumentati a 10.303 (792 mensili) tra i tempi indeterminati.
Le qualifiche non comportano una differenza sostanziale. Un giovane occupato come operaio (o affine) ha una retribuzione di 7.700 euro annui (592 al mese), mentre un impiegato arriva a 11.049 euro (849 mensili): cifre che in nessun caso consentono di sbarcare il lunario.

Conteggiare i part time alla stregua dei rapporti a tempo pieno per poi inneggiare ad una “piena ripresa” economica e sociale sembra fuori luogo.
Non si agganciano i valori pre-crisi con una mole di contratti che valgono la metà!
Per questo occorre intervenire, mettendo in campo politiche lungimiranti, investimenti ed innovazione e puntando sulla qualità delle risorse umane e del lavoro.

Articolo e intervista a Christian Ferrari sul Corriere del Veneto
Articolo e intervista a Christian Ferrari su La Nuova Venezia
Il racconto di una lavoratrice
Alcune tabelle con i dati veneti

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