Le prefetture inondate da migliaia di richieste di deroghe da parte delle imprese venete.
La Cgil: “tutto ciò che non è essenziale e che non è sicuro, se non lo chiuderanno le Istituzioni, ci penseranno i lavoratori“.
Dichiarazione di Christian Ferrari, Segretario generale CGIL Veneto
“Alcune associazioni datoriali sembrano non comprendere la gravità dell’emergenza sanitaria e i rischi che corrono i lavoratori che – ogni giorno – sono costretti a uscire di casa per garantire la continuità delle attività essenziali per la tenuta del nostro Paese.
E se la prendono con i sindacati per aver ottenuto il fermo produttivo per il resto delle aziende.
Se aver affermato il principio che “prima viene la salute” e aver fatto di tutto per limitare – nel pieno dell’emergenza sanitaria – le attività produttive al minimo essenziale sono considerate delle colpe, ebbene sì: noi siamo colpevoli.
Evidentemente manca la consapevolezza che salvaguardare la salute dei lavoratori, vuol dire proteggere anche le loro famiglie e – più in generale – la salute pubblica. Un apporto decisivo al contenimento del contagio, che si può ottenere solo riducendo al minimo lo spostamento delle persone.
Ammesso – e purtroppo non concesso – che siano garantite condizioni di sicurezza totale nei posti di lavoro, bisogna infatti considerare che i lavoratori non vanno in fabbrica con il teletrasporto, ma con mezzi pubblici e privati. E questo aumenta automaticamente il rischio di esposizione.
Oltretutto affrontare con la massima efficacia la crisi sanitaria è una precondizione per poter affrontare quella economica, e per metterci nelle migliori condizioni di ripartire quanto prima anche dal punto di vista produttivo.
Sospendere tutte le attività non essenziali è un atto di grande responsabilità sociale.
Può apparire paradossale vedere un sindacato che lotta per chiudere le fabbriche, ma – alle drammatiche condizioni date – è l’unico modo per tutelare la salute delle persone che rappresentiamo e per contribuire in maniera determinante allo straordinario sforzo collettivo che è richiesto a tutti per contrastare l’epidemia in corso.
Non averlo capito per tempo in Lombardia, e in particolare nelle province di Bergamo e Brescia – nonostante i ripetuti appelli di CGIL CISL e UIL – ha avuto un ruolo per nulla trascurabile nel determinare la catastrofe in corso.
Siamo di fronte ad un passaggio drammatico che non affrontiamo a cuor leggero. Non lo fanno di certo i lavoratori, costretti a restare a casa, per giunta perdendo parte significativa del loro salario (la cassa integrazione oscilla tra i 700 e i 900 euro al mese). È un grande sacrificio – innanzitutto per loro – ma è un sacrificio necessario.
Pensare meno al proprio portafoglio e di più alla salute pubblica e delle persone, dovrebbe essere un dovere di tutti.
Il condizionale è d’obbligo, vista l’ondata di migliaia e migliaia di richieste di deroghe e autocertificazioni inviate dalle imprese venete che stanno intasando le Prefetture della nostra regione.
La sensazione netta – di fronte a questi numeri – è che dietro vi sia un input “organizzato”.
E questo ci preoccupa molto, perché riflette un atteggiamento poco responsabile e non all’altezza della sfida che abbiamo tutti di fronte.
Noi terremo alta la vigilanza sia nel rapporto con i Prefetti, sia nei posti di lavoro.
Quello che deve essere chiaro è che tutto ciò che non è essenziale e che non è sicuro, se non lo chiuderanno le Istituzioni, ci pensEranno i lavoratori con le mobilitazioni e gli scioperi.”