Una prima fotografia delle dichiarazioni dei redditi delle lavoratrici e dei lavoratori (secondo i dati raccolti dal Sistema CAAF della CGIL del Veneto) rende subito chiari gli effetti della crisi economica determinata dalla pandemia nella nostra Regione. Si tratta di numeri particolarmente interessanti, perché il paragone tra il 2020 e il 2019 è effettuato su un’identica platea di utenti (35.526), indentificata attraverso i codici fiscali di ciascuno di essi.
Ebbene, la prima evidenza riguarda quante persone hanno usufruito lo scorso anno di ammortizzatori sociali: il 32% del totale (11.219 cittadini). Potrebbero essere di più, visto che molti sono stati pagati direttamente dal datore di lavoro, poi rimborsato dall’Inps, mentre nella dichiarazione è immediatamente identificabile solo chi riceve l’assegno direttamente dall’Istituto di previdenza. Per quanto riguarda invece le differenze di reddito: la perdita media rispetto al 2019 è di 585,50 euro.
Non tutti sono però nella medesima situazione: il 46% dei lavoratori ha visto ridursi significativamente il proprio reddito, il 29% ha migliorato la propria condizione, il 25% non ha subito mutamenti.
Se si guarda alla parte di lavoratori meno fortunati (16.207): la perdita media è stata di 3.326 euro, quasi due mesi di stipendio, passando da 21.466 euro lordi del 2019 a 18.556 del 2020.
L’ultimo dato da sottolineare conferma la disparità di trattamento tra uomini e donne, con i primi che hanno un reddito medio lordo di 23.314 euro, le seconde con un reddito medio lordo di 16.878 euro.
Non mancano le differenze tra le diverse province, alcune sono particolarmente accentuate.
I lavoratori giovani che subiscono la perdita media maggiore risiedono nella provincia di Venezia (con meno 1.241 euro), contro i 120 euro dei giovani lavoratori della provincia di Verona, che subiscono la perdita più contenuta. Complessivamente la perdita dei lavoratori giovani è contenuta in 198 euro, partendo però da un reddito molto basso di 18.559 euro lordi nel 2019.
“Che la crisi economica avesse colpito pesantemente il mondo del lavoro – dichiara Christian Ferrari, Segretario Generale CGIL Veneto – era intuibile, ma i primi numeri che emergono dalla campagna fiscale del nostro Caaf lo confermano senza possibilità di smentita.
Le donne arretrano ulteriormente nei loro redditi, scendendo sotto i 17.000 euro lordi, confermando come la pandemia abbia esasperato le diseguaglianze di genere che già caratterizzavano il nostro mercato del lavoro sul piano delle condizioni salariali, dei diritti e delle tutele.
Colpisce anche la quantità di lavoratori che hanno usufruito di ammortizzatori sociali. Se guardiamo alle sole ore di Cassa integrazione, nel 2020 sono aumentate di 20 volte rispetto all’anno precedente.
Da questi dati manca buona parte del lavoro giovanile, che spesso è venuto meno senza neanche la copertura degli ammortizzatori, il che dimostra l’urgenza di una riforma che copra in maniera universale tutti i lavoratori, a prescindere dalle tipologie contrattuali.
Anche per questo, insistiamo nel chiedere una proroga del divieto di licenziamento fino alla fine di ottobre. Ciò consentirebbe sia di aspettare un consolidamento della ripresa, sia di non lasciare scoperto chi perde l’occupazione.
L’attenuarsi della pandemia, il buon ritmo della campagna vaccinale, la ripartenza di quasi tutte le attività economiche, comprese quelle commerciali e del turismo, inducono a sperare che il peggio sia alle spalle. Questo però non vuol dire che per risolvere tutti i problemi di cui soffriamo basti tornare alla situazione “pre-Covid”.
Non dobbiamo infatti dimenticare che prima di questa nuova crisi, non ci eravamo ancora risollevati del tutto dalla crisi finanziaria del 2008.
Senza affrontare la questione salariale, senza favorire l’occupazione femminile, senza dare un lavoro dignitoso e sicuro alle nuove generazioni, nessuna crescita duratura sarà possibile in Italia e nel Veneto, che soffrono innanzitutto di un calo strutturale della domanda interna, che non può essere compensato semplicemente dall’export. Export che potrebbe incontrare non poche difficoltà nel prossimo futuro.
Occorre cambiare il modello di sviluppo, per renderlo socialmente, tecnologicamente ed ecologicamente sostenibile. E lo si fa rimettendo al centro il lavoro di qualità. Altrimenti le diseguaglianze rischiano di aumentare e la stessa capacità produttiva del nostro sistema corre il pericolo di essere ulteriormente indebolita”.
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