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Ivan Bernini, segretario generale FP Veneto, sull’applicazione della Legge 194

Negli ultimi giorni si è riproposto un tema sempre attuale nel nostro Paese nella relazione Stato-Chiesa e sulla nozione di laicità che dovrebbe guidare azione e interventi legislativi. Stato laico posto davanti a stato confessionale. Stato che nel campo della propria attività esercita indipendenza e autonomia di scelte nei confronti della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose. Non significa né essere irrispettosi verso le culture religiose, né anti-ecclesiastici. Significa rendersi parte attiva per garantire che nessuno imponga la propria visione del mondo agli altri. 

La Legge 194 del 1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” ha significato, assieme ad altre norme, il punto più elevato dello “Stato parte attiva” e garante dei principi Costituzionali, a partire dall’articolo 32: ‘La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività’. 

Lo Stato e la maggioranza dei cittadini che, anche attraverso i referendum ne hanno confermato l’impostazione, non hanno inteso né umiliare coloro che in nome delle proprie convinzioni hanno idee diverse, né costringerli a pratiche non coerenti con il loro credo. 

A chi, come il sottoscritto, nel 1978 era un ragazzino, sono rimasti impressi nella memoria termini e cronache che puntualmente i mezzi di informazione riportavano. 

Per esempio, “mammane”, figure che praticavano aborti clandestini su commissione, valendosi di pratiche rozze e che spesso determinavano la morte delle gestanti; “cucchiaio d’oro”, quel cucchiaio di ferro adoperato per la pulizia dell’utero, che “diventava” d’oro per il prezzo esoso dell’aborto. 

Mi disturbano i “movimenti per la vita”, addirittura entro i confini dei consultori? Abbastanza. Rispetto il loro esistere, ho un pensiero all’estremo del loro, ma non intendo negare il loro diritto a esprimerlo. Nego la legittimità nel finanziarli con denaro pubblico e penso che quelle risorse dovrebbero essere utilizzate per potenziare le figure professionali e le strutture, come i consultori, che consentono allo Stato di dare applicazione ad una Legge che va resa esigibile. 

Mi disturbano i simboli religiosi nelle scuole, negli ospedali? Non me ne faccio un cruccio, non siamo in Francia. Ma credo che i simboli siano sempre importanti e che non debbano essere agiti come provocazione e vi siano particolari luoghi nei quali non è opportuno esibirli. Per esempio, dentro alle stanze nelle quali si accolgono donne in difficoltà, chiamate a scelte che inevitabilmente ne segneranno l’esistenza. Donne che hanno bisogno di essere aiutate non giudicate. 

Ma c’è un tema, rimosso, che per me rappresenta un grande problema: Il fatto che negli ospedali veneti, dato riferibile al 2021, sono 252 i ginecologi obiettori di coscienza su un totale di 352, pari al 71,5%. Con ospedali, per quanto riguarda le strutture più grandi, come Mestre (Venezia), dove gli obiettori sono 19 su 20; 16 su 18 a Vicenza; 16 su 22 a Padova; 20 su 26 a Verona Borgo Trento. 

Sicuramente ve ne sono alcuni che diventano obiettori perché altrimenti, con questi numeri, nella loro vita professionale saranno chiamati a fare solo interruzioni di gravidanza: non è quello che immaginavano quando hanno studiato, quando hanno iniziato la loro carriera. 

L’obiezione di coscienza è un diritto previsto dalla stessa legge 194. Ma è un diritto anche ricevere cure e prestazioni nei tempi previsti dalla Legge. È un diritto per le donne e per le coppie non dover andare all’estero, pagando anche economicamente, per trovare una risposta. 

Credo che lo stesso Ippocrate, nato nel 460 A.C. autore di quell’atto solenne sul quale ancora oggi i medici giurano, avrebbe qualcosa da dire di fronte al contesto attuale. Ma Ippocrate non c’è più. C’è lo Stato laico e la politica che su questo tema deve aggiornarne riflessioni e contenuti”. 

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