Si svolgerà il 22 e 23 novembre a Monastier (hotel Villa Fiorita) il congresso della Cgil del Veneto. I lavori si apriranno alle ore 10,30 con la relazione del Segretario generale veneto, Christian Ferrari. Il dibattito si concluderà il 23 novembre alle ore 12, con l’intervento del Segretario generale della Cgil, Susanna Camusso.
Al congresso partecipano 365 delegati (in rappresentanza di 400.784 iscritti) eletti nel lungo e ricco percorso congressuale che ha impegnato la Cgil veneta fin dall’inizio dell’estate, prima con oltre 4.500 assemblee di base, quindi con un centinaio tra congressi di categoria (territoriali e regionali) e delle Camere del Lavoro. Saranno loro ora a portare al dibattito la riflessione che si è sviluppata cogliendo problematiche, potenzialità e criticità della nuova fase che si sta aprendo, a partire dai punti di difficoltà e dai segnali di ripresa, dai cambiamenti indotti dalla digitalizzazione e dai riflessi sul lavoro, dalle partite relative al welfare, ma anche da questioni non più eludibili che riguardano la qualità della vita e del mondo in cui si vive.
Non a caso il congresso si aprirà con un filmato sul disastro che ha colpito il Veneto, perché i temi dell’ambiente, della salvaguardia e messa in sicurezza del territorio occuperanno una posizione preminente nella discussione, così come si tireranno le fila del confronto con la Regione (avviato o da rilanciare) sui capitoli della salute e sicurezza sul lavoro, del sistema sociosanitario e delle infrastrutture.
Ed ancora si parlerà del ruolo del sindacato e di come in particolare la Cgil veneta (cresciuta in un anno del 13,3% tra i lavoratori attivi) abbia saputo cogliere, con un approccio unificante, le istanze di un mondo del lavoro sempre più eterogeneo, in cui aumentano le figure pseudo autonome ed il lavoro dipendente è esposto a maggiore precarietà e frammentazione. Ed in cui, a fronte della crisi, da un lato, e delle trasformazioni, dall’altro, si è prodotto in pochi anni un sensibile cambiamento nella composizione sociale:
CROLLANO – ANCHE NELL’INDUSTRIA – GLI OPERAI E I DIRIGENTI MENTRE CRESCONO LE PROFESSIONI INTELLETTUALI E QUELLE NON QUALIFICATE.
AVANZA LA PRECARIETÀ: SOLO IL 13% DELLA NUOVA OCCUPAZIONE REALIZZATA NEL 2018 È STABILE E LE DISPARITÀ DI REDDITO AUMENTANO PIÙ CHE A LIVELLO NAZIONALE.
In 10 anni il Veneto perde 61.200 operai e 2.980 dirigenti aziendali a fronte di un saldo occupazionale complessivo di +63.740 posti di lavoro. E ciò non è frutto solo del maggior peso acquisito dal terziario.
È infatti all’interno dello stesso comparto industriale che si assiste ad una mutazione delle figure professionali. Negli ultimi 4 anni all’interno delle fabbriche venete sono cresciute più le professioni intellettuali (2.285) che gli operai specializzati (1.470), più quelle tecniche (4.995) che i conduttori di impianti (2.795), ma aumentano anche le professioni non qualificate (6.930) che rappresentano più del doppio dell’incremento tra impiegati e addetti alle vendite messi insieme, mentre continua inesorabile il calo dei dirigenti. Ciò rientra in una tendenza di lungo periodo che ha visto, a partire dall’inizio della crisi, un incremento negli stabilimenti industriali della regione di 9.730 laureati e tecnici a fronte di un crollo di 46.360 operai e 1.470 dirigenti.
L’altro aspetto di rilievo nel settore industriale veneto riguarda una maggiore precarizzazione del lavoro che lo avvicina a modalità finora più proprie del commercio e del turismo.
Scegliendo un comparto che ha agganciato la ripresa, come il metalmeccanico, risulta evidente il ridimensionamento della quota di lavoro stabile. Se infatti negli anni bui (tra il 2008 ed il 2013) i posti di lavoro a tempo indeterminato persi erano il 56% del totale (11.605 su 20.485), quelli recuperati nel periodo successivo (dal 2014 al 2017) sono appena il 26% della nuova occupazione (4.460 su 16.980). Ciò è ancora più eclatante tra le figure operaie dove nell’ambito di un saldo occupazionale complessivo (tra il 2014 ed il 2017) di +6.810 unità, i posti “fissi” presentano addirittura un valore negativo (-120 unità).
La tendenza ad una maggiore precarizzazione attraversa comunque tutti i settori ed incide pesantemente sulle condizioni lavorative in regione: sui 110.000 posti di lavoro realizzati a saldo tra il 2014 ed il 2017 solo 29.280 sono quelli a tempo indeterminato (26%), mentre nei primi sei mesi del 2018 il nuovo lavoro stabile rappresenta appena il 13% del saldo occupazionale complessivo (trasformazioni comprese).
Le conseguenze sono fortemente negative non solo perché precarietà significa incertezza del futuro (rinviando i progetti di vita dei giovani con effetti devastanti sul piano demografico e la tenuta del welfare), ma anche perché alimenta e favorisce i fenomeni dei bassi salari (il 6,8% degli occupati sono lavoratori poveri), del sottoinquadramento (il 23,6% ha un titolo di studio superiore rispetto alle mansioni svolte), del part time involontario (8,8% degli occupati). Tutti elementi che (mentre anche il lavoro nero cresce: dall’8,1% al 9,1%) impoveriscono il tessuto economico della regione, bloccano gli ascensori sociali e accrescono le disuguaglianze nella distribuzione del reddito. In base all’ultimo dato disponibile, l’indice di Gini* nel 2015 assume nel Veneto il valore di 0,253, con un incremento rispetto al 2014 di 0,016 punti, pari al doppio di quello registrato a livello nazionale.
* l’indice di Gini calcola la sperequazione della ricchezza secondo una scala che va da 0 – condizione di perfetta parità – a 1 – massima disparità.
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