I dati dell’Inail, pubblicati qualche giorno fa, rivelano – per il Veneto – un 2022 drammatico per quanto riguarda l’insicurezza sul lavoro e meritano una riflessione non superficiale.
Intanto, vanno guardati con attenzione i numeri, voce per voce, perché segnalano dinamiche particolarmente preoccupanti.
La nostra Regione è la seconda per denunce di incidenti mortali, dietro solo alla Lombardia. I decessi sono stati 113, con un incremento del 7,62% rispetto all’anno precedente.
Crescono anche le denunce di malattia professionale: sono 3.917, + 14,67% rispetto al 2021.
E il Veneto si trova sul secondo gradino del podio di questa pessima classifica anche per quanto riguarda le denunce di infortunio: 83.885, un incremento del 20,82%.
Ci sono altri elementi particolarmente preoccupanti, che dimostrano il manifestarsi di una questione di genere e generazionale anche su questo terreno.
Le denunce di infortunio di cui sono vittime le donne crescono del 42,44%, raggiungendo i 32.966 casi. Restano inferiori a quelli subiti dagli uomini, a causa della sotto occupazione femminile e della larga prevalenza di presenza maschile in settori particolarmente funestati dal fenomeno come l’edilizia, l’agricoltura e la logistica, ma quanto sta accadendo non può non allarmarci e interrogarci.
Anche per i lavoratori tra i 15 e i 19 anni l’incremento degli infortuni è quasi doppio rispetto alla media: si passa da 2781 casi a 3875, + 39.3%.
“Non solo l’allarme non si attenua – dichiara Silvana Fanelli, della segreteria confederale Cgil Veneto – ma la situazione peggiora di anno in anno, come vediamo anche dai fatti di questi giorni. E i numeri degli infortuni a danno di donne e giovani confermano, ancora una volta, che il primo problema da affrontare è quello della precarietà del lavoro, che colpisce soprattutto queste due categorie. Se non togliamo lavoratrici e lavoratori dalla condizione di ricattabilità, qualunque normativa sulla sicurezza, anche la più severa, non produrrà gli effetti sperati. Purtroppo, il Governo (sia con la liberalizzazione degli appalti e dei subappalti, sia con la reintroduzione dei voucher) sta andando nella direzione opposta.
C’è poi un livello territoriale su cui intervenire, perché l’insicurezza del lavoro in Veneto ha raggiunto vette intollerabili. È necessaria innanzitutto l’applicazione rigorosa del Piano strategico rinnovato dalle parti sociali con la Regione. Non va replicato il film del Piano precedente, rimasto in gran parte sulla carta e non adeguatamente finanziato soprattutto per l’assunzione di nuovi ispettori.
Anche come sindacati dobbiamo cambiare passo, a partire dalla contrattazione aziendale e territoriale, che deve mettere al primo posto la salute e la sicurezza dei lavoratori, con un maggior protagonismo dei nostri Rls e Rlst, insieme ad Rsu/Rsa. C’è, tra l’altro, da rendere conciliabili i tempi di vita e di lavoro (anche per ridurre il più possibile gli incidenti in itinere,) e sono da pretendere gli investimenti necessari in nuove tecnologie che possono consentirci passi in avanti fondamentali per prevenire gli infortuni.
La salute e la sicurezza sono diritti fondamentali di chi lavora, garantirli è un dovere inderogabile di chi fa impresa. Non va mai dimenticato. Salute e sicurezza che vanno affrontati, visti i dati, anche in un’ottica di genere.
C’è, infine, una battaglia culturale da portare avanti, con una vera e propria pedagogia della sicurezza, a cominciare dalle scuole per arrivare alla formazione degli adulti, imprenditori compresi, considerato che spesso sono essi stessi vittime di infortuni, anche mortali.
Tutto ciò che serve va fatto, con la concertazione, con la contrattazione e – dove occorre – anche con il conflitto. La strage non può proseguire impunemente, come se fosse un prezzo ineluttabile da pagare per continuare a produrre. A partire dalle Istituzioni e dal sistema produttivo va fermata questa drammatica inerzia.