La Cgil presenta un “Piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile” nella convinzione che una strada per il rilancio del lavoro e dell’economia diversa dalle ricette fallimentari fin qui perseguite è possibile e lo fa in vista della legge di Stabilità.
La proposta è di largo respiro e tende ad affrontare alcuni nodi strutturali, accentuati dalla difficoltà ad invertire la marcia dopo una crisi che dal 2008 ha cancellato 1,6 milioni di posti di lavoro e inglobato nell’area di sofferenza altri 3,7 milioni di persone.
Al centro del “Piano” vi sono alcune proposte per la creazione diretta di lavoro in diversi ambiti e l’idea che le risorse per sostenerle sono reperibili.
Per citare un dato: nel triennio in corso sono stati spesi e impegnati ben 30 miliardi tra incentivi, sgravi contributivi e riduzione delle tasse alle imprese. Perché non impiegarle per creare direttamente lavoro? Restano poi sempre attuali i temi di una maggiore intensità nel recupero alla lotta all’evasione e dell’introduzione di una patrimoniale sulle grandissime ricchezze che in Italia sono concentrate nelle mani di poche persone.
“L’idea di fondo del Piano – spiega il Segretario della Cgil Danilo Barbi – è creare nuova domanda: nuovi posti di lavoro, nuova massa salariale, nuovi risparmi e nuovi consumi. Per questa strada si sosterrebbero, davvero, nuovi investimenti privati e nuova occupazione ulteriore. E nuove entrate per lo Stato. Ma questa nuova domanda deve essere orientata in due direzioni. La prima verso bisogni sociali e di tutela ambientale oggi largamente insoddisfatti, questo non solo per rafforzare la comprensione e la legittimazione del Piano nel Paese, ma anche per stimolare nuovi consumi collettivi, nuove professionalità, nuove produzioni, nuove attività. La seconda è quella di rafforzare politiche di ricerca e di innovazione industriale, qualificando settori economici di base, come l’agricoltura, il turismo, l’edilizia. Una nuova domanda, quindi, per creare nuova offerta. Nuova offerta non solo in quanto aggiuntiva, ma anche come anticipazione dell’offerta e della produzione del futuro.
Concretamente noi proponiamo la creazione diretta di circa 600 mila posti di lavoro tra assunzioni pubbliche e di mercato, a tempo indeterminato o a progetto. Innanzitutto, l’assunzione per concorso di 20 mila ricercatori negli enti pubblici di ricerca e nelle università. I concorsi dovranno essere riservati al 50% alle tre figure sociali indicate. Dovranno essere impegnati su programmi di ricerca in due aree principali: energie rinnovabili e riutilizzo e creazioni di materiali. Questa scelta sarebbe un forte stimolo per molti settori industriali. Poi assunzioni di 100 mila dipendenti nelle amministrazioni pubbliche. Sempre al 50% riservate alle figure sociali prioritarie. Qui vale la pena di specificare che, concettualmente, queste assunzioni vanno distinte, perché finanziate in modo straordinario e aggiuntivo, dalle questioni ordinarie degli organici e del precariato storico. Certo, darebbero un sollievo alla sottoccupazione degli organici pubblici e permetterebbero la partecipazione dei precari ai concorsi nel restante 50%. Le aree principali di intervento dovrebbero essere: l’integrazione digitale di tutta la pubblica amministrazione, l’aumento della diagnostica sanitaria pubblica, progetti contro la dispersione scolastica. Le ricadute sarebbero nel settore informatico, nel biomedicale e nell’editoria. Poi la definizione di assunzioni per 300 mila persone in contratti a progetto per tre anni più tre. Inquadrati nei contratti più favorevoli, con certificazione professionale e titoli per i concorsi pubblici successivi. Settori dovrebbero essere innanzitutto la messa in sicurezza del territorio (dal rischio sismico e idrogeologico) e la sua cura e manutenzione ordinaria. E poi attività sociali aggiuntive per l’infanzia, la non autosufficienza, l’emarginazione, l’educazione degli adulti. Oltre che la ristrutturazione sociale ed energetica delle abitazioni. Tutto ciò avrebbe forti ricadute sull’edilizia, sull’agricoltura, sulla cooperazione sociale e culturale.
Ulteriori 100 mila contratti a progetto, solo triennali, alle stesse condizioni di certificazione e titoli. Avendo come campi di intervento i beni culturali e archeologici, l’alfabetizzazione digitale per tutti, la lingua italiana per i migranti, tutto ciò avrebbe ricadute sul turismo e sulla produzione di software ma anche sulla qualità della vita civile. Infine, 60 mila occupati in nuove cooperative che abbiano almeno il 50% di soci delle figure prioritarie. Che applichino i contratti nazionali di lavoro, con facilitazioni amministrative e di credito alla loro creazione, un bonus di liquidità di 20 mila euro per ogni componente delle figure prioritarie. Dovranno essere impegnate nell’agricoltura biologica, nell’agriturismo, nella produzione culturale e nell’assistenza familiare, avendo ricadute principalmente nel settore agricolo e nei servizi alle famiglie.
Da ultimo, 20 mila nuovi occupati in nuove imprese (sempre almeno al 50% nei soggetti prioritari e con le stesse facilitazioni e bonus delle cooperative). Dovrebbero essere indirizzate al settore del risparmio e dell’efficienza energetica e alla creazione di app. Ovviamente, le aree di intervento e i settori stimolati vanno presi come una prima indicazione che vuole esplicitare il senso di una proposta generale.
L’effetto sul Pil sarebbe di un aumento di 5,7 punti in tre anni.
Secondo i calcoli della Cgil, il Piano costerebbe 10 miliardi e 150 milioni di euro all’anno, dei quali due miliardi e 424 milioni annui strutturali. Per un totale di 30 miliardi e 450 milioni circa in un triennio. Una cifra molto simile a quella già spesa, nel triennio 2015-2017, dal governo per gli sgravi contributivi, la riduzione strutturale dell’Irap e l’abolizione della Tasi solo sulle case di grande valore. Per queste tre misure il governo ha speso circa 34 miliardi in tre anni, di cui 7 strutturali. Con ben altri risultati sul piano occupazionale. Siamo, quindi, dentro ipotesi del tutto ragionevoli, la cui finanziabilità è essenzialmente una questione di scelte politiche.
Si potrebbe aprire una vera e propria vertenza con la Commissione europea: chiedendo l’esclusione degli investimenti pubblici, almeno per obiettivi prioritari, dal Patto di stabilità; oppure la sospensione del Patto stesso per almeno tre anni. Si potrebbe introdurre un’imposta sulle grandi ricchezze, applicata con aliquote progressive sui patrimoni superiori agli 800 mila euro. Porterebbe circa 20 miliardi l’anno di entrate aggiuntive. Si potrebbe introdurre la trasmissione obbligatoria, via app, delle fatture Iva; che produrrebbe, secondo il Nens, una riduzione dell’evasione fiscale di diverse decine di miliardi all’anno.
Non ci si dica che sono proposte impossibili. Nella storia le “proposte impossibili” hanno sempre funzionato. Se volessimo andare lontano si potrebbe utilizzare il New Deal di Roosevelt o il Piano Beveridge inglese. Stando in tempi più recenti, si potrebbe citare la legge 285 del 1978, che creò in Italia 840 mila posti di lavoro giovanili in tre anni. Chiediamo quindi al governo di valutare questa proposta in relazione alla legge di bilancio”.
Vedi gli allegati:
Il piano del lavoro
La presentazione di Danilo Barbi