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OPERATORI U.E.P.E. IN PRESIDIO A VENEZIA

Sono gli addetti a persone condannate ma non detenute (in “messa alla prova”) costretti a lavorare con carenza di mezzi ed in condizioni fortemente sotto organico, arrivando al punto di avere mediamente in carico 370 casi a testa. Per protestare contro questa situazione effettueranno un presidio interregionale (Veneto, Friuli, Trentino) venerdì 27 maggio dalle 10.13 davanti alla Cittadella della giustizia in piazzale Roma a Venezia. A loro sostegno si sono espressi la camera penale e le associazioni di volontariato occupate nei progetti di reinserimento.

Di seguito una nota sulla situazione in cui sono costretti ad operare scritta dagli assistenti sociali educatori dipendenti dal Ministero della Giustizia che seguono condannati agli arresti domiciliari o addetti ai servizi sociali, inserimenti al lavoro, ecc.

“Siamo rimasti ad aspettare, fiduciosi, la riorganizzazione del nostro Ministero confidando nelle dichiarazioni del Ministro Orlando che, in tante occasioni, ha sottolineato la scelta strategica del potenziamento delle misure alternative e delle sanzioni sostitutive come via maestra per l’uscita dall’emergenza del carcere.
Si ritiene a tale proposito di fornire alcuni dati statistici pubblicati sul sito del Ministero della Giustizia dai quali emerge che al 30 aprile 2016 un migliaio o poco più di assistenti sociali gestiscono sul territorio nazionale
– n. 33.754 persone in esecuzione penale esterna
– n. 8.193 persone in messa alla prova

Sull’efficacia in termini di prevenzione della recidiva, i dati attuali dimostrano che le persone sottoposte alle misure alternative, in particolare l’affidamento in prova al servizio sociale, registrano un tasso di recidiva di gran lunga inferiore a quello presentato dai soggetti che escono da un circuito esclusivamente penitenziario.
Un affidato in prova al servizio sociale si confronta con la costruzione-ricostruzione di un patto sociale violato dalla commissione di un reato: qui il lavoro, gli affetti, l’impatto con la società, la riparazione del danno e l’adoperarsi a favore della vittima, non sono aspirazioni impraticabili, sogni impossibili da recluso dietro le sbarre, inabilitato nelle sue dimensioni di attore sociale, ma aspetti su cui costruire una pratica quotidiana di legalità.
Tutto il sistema dell’esecuzione penale esterna, a partire dai costi di gestione delle risorse umane, del mantenimento degli utenti, che non gravano sul bilancio dello stato e della collettività (come invece avviene in caso di detenzione in carcere), sia per quanto riguarda la gestione delle strutture, spesso demaniali, ha un costo notevolmente inferiore al sistema dell’esecuzione intramuraria (carcere).
L’introduzione dei nuovi provvedimenti legislativi, anche in risposta alle indicazioni europee che, se non rispettate, comportano sanzioni economiche per l’Italia, vanno nella direzione di potenziare l’esecuzione penale esterna.
A fronte di tutto ciò non c’è stato sinora un investimento economico da parte del Governo, che supporti adeguatamente in termini di risorse umane e materiali l’esecuzione penale esterna.

A livello di Provveditorato del Triveneto nell’anno 2015 i sette Uffici di Esecuzione Penale Esterna hanno avuto complessivamente in carico circa 7.500 soggetti, tra misure alternative e sanzioni non detentive, quantità che rappresenta circa 1/6 della popolazione di competenza dell’area penale esterna a livello nazionale.
A questi numeri si aggiunge il carico di lavoro derivante da più di 9.000 incarichi di collaborazione con gli istituti di pena, per soggetti detenuti, e con i Tribunali di Sorveglianza e Ordinari per soggetti in libertà.
Il fallimento operativo degli U.E.P.E. e in particolare della messa alla prova per gli adulti è un rischio concreto e tangibile specialmente sul nostro territorio.
Ci eravamo illusi che con i provvedimenti legislativi emessi questo Governo avesse davvero imboccato con convinzione la strada di un investimento nell’Esecuzione Penale Esterna!

L’amara realtà è stata invece rivelata dalla suddivisione del Fondo Unico per la Giustizia per il 2016, che ha visto assegnare a questa parte dell’organizzazione del Ministero della Giustizia la cifra irrisoria di soli 500 mila euro.
In occasione della cerimonia conclusiva degli Stati Generali della Giustizia, il Ministro ha affermato: ”… credo che dovremmo potenziare (è un impegno che assumo concretamente) gli uffici dell’esecuzione penale esterna. Penso che il prossimo anno dovremo trovare le risorse, almeno 10 milioni di euro da investire sull’esecuzione penale ma, intanto, vorrei ringraziare gli uffici Uepe, perché hanno fatto fin qui, tanto per citare le parole di Rita Bernardini, le nozze con i fichi secchi, perché, a fronte di un aumento significativo delle competenze e anche di nuovi istituti di esecuzione penale esterna, si sono trovati a risorse invariate e a personale decrescente”.
Tale affermazione, però, non trova alcuna corrispondenza nelle scelte successive di allocazione delle risorse.
La condizione così estrema di molti degli Uffici che costituiscono il nuovo Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità sembra non preoccupare affatto né il Ministro e né il capo dipartimento.

Per evitare il rischio dell’implosione dell’intero sistema, non abbiamo altra scelta che quella di portare a conoscenza della cittadinanza la complessità e lo stato di sofferenza dell’esecuzione penale esterna nel nostro paese e di chiedere al Ministro della Giustizia una risposta immediata a questa situazione.
La permanenza delle attuali condizioni non è ulteriormente sostenibile!”

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