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JOBS ACT: A CHE PUNTO SIAMO. I DECRETI ATTUATIVI E LE OSSERVAZIONI DELLA CGIL

JOBSNel corso del Consiglio dei Ministri dell’11 giugno 2015 sono stati approvati i testi definitivi di due nuovi decreti legislativi di attuazione del jobs act (Legge Delega 183/2014) entrati in vigore dal 25 giugno.

Si tratta del decreto legislativo n.80/2015 recante misure per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro e di quello n.81/2015 relativo alla disciplina organica dei contratti di lavoro (tipologie contrattuali) nonché alla revisione della normativa in tema di mansioni.

Sempre nella stessa seduta del Consiglio dei Ministri sono inoltre stati varati e trasmessi alle Camere quattro altri schemi di decreto legislativo in attuazione del jobs act su cui il Parlamento deve presentare il proprio parere entro 30 giorni.

Riguardano: ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro; riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive; razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità;​ realizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale.

Ricordiamo che a marzo erano stati varati i primi due decreti attuativi del jobs act, già in vigore. Si tratta del Decreto Legislativo n.23/2015 che introduce le nuove norme sui licenziamenti per i contratti a tempo indeterminato iniziati a partire dal 7 marzo 2015 e del Decreto Legislativo n.22/2015 con cui sono introdotti i nuovi strumenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione: la nuova ASPI (NASPI), l’assegno di disoccupazione (ASDI), l’indennità per i collaboratori a progetto (DIS-COLL) ed il contratto di ricollocazione.
Di seguito una prima valutazione dei decreti attuativi approvati dal Consiglio dei ministri dell’11 giugno redatta a cura dell’Area Mercato del Lavoro della Cgil nazionale.

L’approvazione da parte del Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno dei decreti attuativi del Jobs Act, rafforza la filosofia e la strategia che fino ad ora hanno guidato il Governo nella costruzione dei provvedimenti di riforma del mercato del lavoro. Si confermano scelte in favore della deregolamentazione a scapito dei diritti di chi lavora, si ribadiscono le forti divisioni e differenziazioni nel mondo del lavoro, sia sui contratti che sulle tutele, e si aumenta di nuovo il potere delle imprese senza elementi di riequilibrio in favore del lavoro.

Dietro i termini “innovazione e semplificazione” c’è un’idea vecchia del lavoro senza qualità e con una riduzione degli spazi di contrattazione che lo rende più povero e più debole. I lavoratori occupati, così come quelli in sospensione da lavoro o disoccupati, compiono un notevole passo indietro rispetto all’essere portatori di diritti universali.

In particolare, sui contratti di collaborazione si conferma la loro parziale soppressione, lasciando attive molte soluzioni capaci di aggirare le disposizioni.

Si alimenta ulteriormente la possibilità per tutte le attività di ricorrere all’uso dei voucher, ampliando la soglia dell’importo per lavoratore da 5.000 a 7.000 euro e confermandone un uso che dal 2008 al 2014 ha registrato un aumento vertiginoso.

Con il riordino del contratto di apprendistato di I e III livello si va a confermare la scelta sbagliata della precocità di accesso a 15 anni, si cede il passo per la certificazione degli apprendimenti alle imprese in favore di un sistema duale di bassa qualità della formazione e di lavoro debole.

Sui contratti a termine si conferma il venir meno del diritto del lavoratore a ricevere una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, fondamentale per la prevenzione sui rischi da lavoro.

Vengono peggiorate le condizioni del demansionamento, dal momento che in sede di Commissioni di Certificazione sarà possibile derogare alla norma sottoscrivendo accordi tra le parti – lavoratore e datore di lavoro – capaci di peggiorare le già punitive condizioni di norma.

In materia di ammortizzatori si interviene con una significativa riduzione dei tempi di copertura e degli strumenti a disposizione dei lavoratori. L’ introduzione del meccanismo per le aziende del bonus malus, pensato quale deterrente, finirà invece col favorire i licenziamenti, visto l’aumento del costo delle contribuzioni nell’uso degli strumenti di “cassa”.

L’ uso dei Fondi, previsto quale strumento per coprire le aziende da 5 dipendenti, non fa che confermare la diversità dei trattamenti per i lavoratori. Impossibile parlare quindi di un sistema universale.
Gli interventi sulla razionalizzazione e semplificazione dei rapporti di lavoro e su salute e sicurezza, rivedendo le norme sull’identificazione, contribuiranno ad alimentare la pratica del lavoro nero e a indebolire i controlli sulla sicurezza.

Sui controlli a distanza siamo di fronte ad un abuso rispetto alle norme sulla privacy, che segna un punto di forte arretramento rispetto allo Statuto dei lavoratori. Il venir meno dell’obbligatorio accordo sindacale renderà più difficile proteggere i lavoratori da indebiti usi delle informazioni da parte delle aziende.

Il nuovo Ispettorato del lavoro, così come è stato concepito nella sua unicità, se non sorretto da opportuni finanziamenti – oggi non previsti – determinerà un progressivo svuotamento delle funzioni che garantiscono la lotta all’evasione e all’elusione contributiva.

La nuova Agenzia nazionale che si dovrà occupare delle nuove politiche attive nasce zoppa in ragione dell’indeterminatezza delle norme istituzionali che dovranno regolarla, sia per la sua attività di gestione che di programmazione. Del provvedimento va segnalata in particolare la criticità legata all’assorbimento di ISFOL e di Italia Lavoro: vanno salvaguardate le specificità di due soggetti diversi nella natura e nella missione, così come l’attuale livello occupazionale per tutti i lavoratori precari e stabili.

Infine ci domandiamo come sia possibile immaginare una risposta efficace del nuovo sistema considerando che le programmate risorse d’investimento risultano essere solo quelle che eventualmente si produrranno in ragione dei risparmi nell’uso della cassa integrazione.

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